Deliberando  sulla  richiesta  di  archiviazione   proposta   dal
Procuratore  della  Repubblica  nel  procedimento   contro   Iannuzzi
Raffaele inteso Lino, nato il 20 febbraio 1928  a  Grottolella  (AV),
domiciliato in Roma alla via G.B. De Rossi n.  32  presso  lo  studio
dell'avv. Grazia Volo proprio unico difensore (atto  depositato  l'11
maggio 2010); 
    Letta  l'opposizione  presentata  nell'interesse  della   persona
offesa Gian Carlo Caselli dall'avv. Ettore Zanoni di Milano; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza; 
 
                  Fatto e svolgimento del processo 
 
    A seguito di denuncia querela presentata dalla persona offesa  il
10 novembre 2006, il Procuratore della Repubblica in sede  esercitava
il 4 marzo 2010  l'azione  penale  chiedendo  il  rinvio  a  giudizio
dell'imputato sopra indicato per il seguente reato: 
        reato di cui agli artt. 595 comma 3 e  13  legge  n.  47/1948
perche', quale giornalista  autore  dell'articolo  pubblicato  il  14
settembre 2006 sul settimanale  Panorama  dal  titolo  «Criticare  la
magistratura e' un reato», abusando del diritto di critica e  cronaca
ed in violazione dei principi di correttezza, obiettivita' e  verita'
della informazioni, offendeva la reputazione  professionale  di  Gian
Carlo Caselli, magistrato, gia' Procuratore della  Repubblica  presso
il Tribunale di  Palermo,  in  particolare  affermando  nel  contesto
dell'episodio riferito al decesso del magistrato Luigi Lombardini: 
          di essere andati in cinque ad  interrogare  un  magistrato,
occupando  militarmente  il  Palazzo  di  giustizia  di  Cagliari   e
interrogando l'indiziato e turno per sei ore, con modalita'  analoghe
a quelle degli uffici di polizia nei film americani sui gangster; 
          di aver predisposto e deciso  tutto  a  Palermo,  prima  di
partire per Cagliari, perquisizione,  arresto,  a  prescindere  dalle
risultanze dell'interrogatorio; 
circostanze tutte  escluse  dai  verbali  di  delibera  di  assemblea
plenaria del CSM 17 settembre 1998; 
          di  avere,  riportando  le  frasi  dell'allora  Procuratore
Generale Pintus, compiuto una  vera  aggressione  nei  confronti  del
dott. Lombardini «massacrandolo»; 
          di aver aperto da anni la caccia negli uffici giudiziari di
Cagliari; 
          di essere stato smentito (in qualita' di parte  civile)  da
diverse sentenze di vari organi giudiziari, compresa  la  Cassazione,
emesse nei confronti dell'allora Procuratore  Generale  di  Cagliari,
Pintus, ed altri, sentenza in cui decisiva sarebbe stata l'esibizione
di quel foglio di carta  (decreto  di  perquisizione)  imbrattato  di
sangue che Lombardini stringeva nella mano sinistra; 
circostanze smentite dal fatto che la sentenza 24 novembre 2005 della
Cassazione  si  basa  non  tanto  sul  diritto  di  critica,   quanto
sull'elemento soggettivo del Pintus al quale  tra  l'altro  sarebbero
attribuite dall'indagata frasi inesistenti nella sentenza, cosi' come
inesistente e' il passo relativo al decreto di perquisizione; 
        di  aver  ispirato  la  propria   condotta,   nella   vicenda
Lombardini, a motivi esclusivamente politici. 
    Con l'aggravante speciale di cui all'art. 13 cit. trattandosi  di
affermazioni  commesse  col   mezzo   della   stampa   e   consistite
nell'attribuzione di fatti determinati. 
    In Milano il 14 settembre 2006. 
    All'udienza preliminare del 7 luglio 2010 il GUP, previo stralcio
della posizione del direttore  responsabile  coimputato  ex  art.  57
c.p., sospendeva il processo ex artt. 68 Cost., 3 legge n.  140/2003,
17 e 18 c.p.p. in attesa della decisione del Senato della Repubblica,
gia' investito dall'imputato, senatore al momento dei fatti,  perche'
si  pronunciasse  sulla  sindacabilita'   delle   opinioni   espresse
nell'articolo indicato nel capo di imputazione. 
    All'udienza di rinvio del 21 giugno 2011 la difesa  dell'imputato
eccepiva la nullita' della richiesta di  rinvio  a  giudizio  siccome
l'avviso di conclusione delle  indagini  era  stato  notificato,  per
l'imputato, presso quello dei due difensori  che  all'epoca  non  era
domiciliatario. Il GUP accoglieva l'eccezione restituendo gli atti al
Pubblico Ministero. 
    Il Presidente del Senato  della  Repubblica,  con  foglio  del  6
dicembre  2011,  comunicava   che   l'Assemblea   aveva   deliberato,
conformemente alla proposta della Giunta competente, che il fatto per
il quale e' processo «concerne opinioni espresse nell'esercizio delle
funzioni parlamentari ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione». 
    Il Procuratore della Repubblica, presone atto, ha formulato il  7
febbraio 2012 richiesta di  archiviazione  previa  valutazione  sulla
sussistenza dei presupposti per sollevare conflitto  di  attribuzione
tra i poteri dello Stato ex art. 134 Cost. 
    In  senso  favorevole  ha  motivato  anche   l'opposizione   alla
richiesta di archiviazione formulata nell'interesse del Caselli il 14
febbraio 2012. 
 
                               Diritto 
 
    In via preliminare, va osservato  che,  ai  limitati  fini  della
regola di giudizio di questa fase processuale e della rilevanza della
questione, la notizia di reato non appare infondata. 
    L'articolo pone esplicitamente un collegamento tra  la  condotta,
in  ipotesi  abusiva  e  vessatoria,  dell'odierno  opponente  ed  il
suicidio del Procuratore della Repubblica Lombardini. 
    E' pacifico che tali affermazioni sono idonee  a  ledere  l'onore
personale e professionale dell'allora Procuratore della Repubblica di
Palermo. 
    Non  puo'  dubitarsi  della  sussistenza  del  relativo  elemento
soggettivo, tanto piu' in considerazione  dei  numerosi  procedimenti
civili e penali promossi a carico di Iannuzzi proprio dal Caselli per
articoli di giornale ritenuti lesivi del proprio onore  (1) 
    Quanto alla sussistenza della scriminante del diritto di critica,
si deve allo stato dubitare almeno del requisito della verita', anche
putativa, dei fatti storici  dai  quali  le  valutazioni  dell'autore
prendono  le  mosse.  Infatti,  secondo  quanto  risulta  dagli  atti
ufficiali relativi a fonti c.d. «aperte»  -  quindi  consultabili  da
chiunque  -  e  anteriori  alla  pubblicazione  (atti  del  CSM,  del
Ministero della Giustizia, financo  le  sentenze  che  hanno  offerto
all'autore lo spunto per il libello famoso), la  narrazione  contiene
alcuni dati grossolanamente  falsi  e  altri  presentati  in  maniera
tendenziosa,  a  vantaggio  della  dimostrazione  della   «tesi»   di
Iannuzzi. 
    Cosi' anzitutto per la durata  dell'interrogatorio  condotto  dai
magistrati dei pubblico  ministero,  che  e'  «lievitato»  del  50  %
passando da meno di quattro, come fu in realta', a  sei  ore;  quindi
per la pretesa mancata autorizzazione da parte del GIP a svolgere  la
perquisizione a carico di Lombardini in periodo feriale,  in  realta'
un «non luogo a provvedere» per il ben diverso motivo  che  la  legge
non richiede una tale  autorizzazione,  nonostante  lo  scrupolo  del
magistrato requirente che la aveva  comunque  richiesta;  ancora  per
l'allontanamento del difensore del magistrato,  che  non  fu  affatto
congedato   dai   requirenti;   e    per    quant'altro    contestato
nell'originaria imputazione. 
    La questione della procedibilita' - o della punibilita',  secondo
altra interpretazione derivante dalla decisione  di  insindacabilita'
assunta dal Senato - e' quindi rilevante nel caso di specie. 
    Dalla lettura della Relazione della Giunta  delle  Immunita'  del
Senato della Repubblica (Rel. MALAN, Doc. IV-quater n. 6) si apprende
che essa, premesso  il  noto  impegno  politico  e  parlamentare  del
senatore Iannuzzi sui temi della giustizia da un lato e il pertinente
argomento dell'articolo dall'altro, «ha  ritenuto  che  il  contenuto
dell'articolo  scritto  dall'ex  senatore  Iannuzzi  sia   certamente
coerente con la sua attivita' strettamente parlamentare  e  che  esso
rappresenti quindi una prosecuzione della stessa all'esterno». 
    Orbene, la decisione adottata dalla Giunta e confermata dall'Aula
- come peraltro riconosciuto dalla Giunta nella propria  relazione  -
si pone in aperto contrasto con  il  costante  orientamento  espresso
dalla Corte costituzionale in subiecta materia. 
    Il Giudice delle Leggi, invero esprimendo un principio  che  pare
ovvio, ha avuto modo di ricordare: 
        che limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', e
con  cio'  stesso  delle  virtualita'  interpretative   astrattamente
ascrivibili all'art. 68, [e' che] questa non puo' mai trasformarsi in
un  privilegio  personale,  quale   sarebbe   una   immunita'   dalla
giurisdizione conseguente alla mera «qualita'» di parlamentare. (...)
Cio'  che  rileva,  ai  fini  dell'insindacabilita',  e'  dunque   il
collegamento necessario  con  le  «funzioni»  del  Parlamento,  cioe'
l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive,  a  prescindere  dal
suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che  in
ogni caso deve essere tale da  rappresentare  esercizio  in  concreto
delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se  attuato  in
forma «innominata» sul piano regolamentare (2) 
    Con particolare riferimento alle vicende che ne occupano, possono
rammentarsi le statuizioni di  cui  alle  sentenze  numeri  10  e  1l
dell'11 gennaio 2000 (alle quali si sono richiamate, tra le altre, le
successive e conformi sentenze n. 52 del 27 febbraio 2002; n. 207 del
20 maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002; n. 164 del 7 aprile  2005;
n. 176 del 2 maggio 2005; n. 249 del 28 giugno 2006;  n.  258  del  4
luglio 2006), ove si legge: 
        «...che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio  della
funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera  e  dei
suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra
le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti,
anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie
del parlamentare in quanto membro dell'assemblea; 
          che l'attivita' politica  svolta  dal  parlamentare  al  di
fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se'  esplicazione  della
funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce  l'art.  68,
primo comma, della Costituzione; 
          che nel normale svolgimento della vita  democratica  e  del
dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai
compiti e  dalle  attivita'  proprie  delle  assemblee  rappresentano
piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune  a  tutti  i
consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una
immunita' che la  Costituzione  ha  voluto,  in  deroga  al  generale
principio di legalita' e di giustiziabilita' dei  diritti,  riservare
alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni; 
          che la linea di confine  fra  la  tutela  dell'autonomia  e
della liberta' delle  Camere,  e,  a  tal  fine,  della  liberta'  di
espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela  dei  diritti  e
degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di  essere
lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, e' fissata  dalla
Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della
prerogativa.  Senza  questa   delimitazione,   l'applicazione   della
prerogativa  la  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale  (cfr.
sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari  una
sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito  e  ai  limiti
della loro liberta' di manifestazione  del  pensiero:  con  possibili
distorsioni anche del  principio  di  eguaglianza  e  di  parita'  di
opportunita' fra cittadini nella dialettica politica; 
          che discende da quanto osservato che la semplice  comunanza
di argomento fra  la  dichiarazione  che  si  pretende  lesiva  e  le
opinioni espresse dal deputato o dal senatore  in  sede  parlamentare
non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che
copre le seconde; 
          che in questo senso va precisato il significato del  «nesso
funzionale»   che   deve    riscontrarsi,    per    poter    ritenere
l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita'  parlamentare;
non come  semplice  collegamento  di  argomento  o  di  contesto  fra
attivita' parlamentare e  dichiarazione,  ma  come  identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare; 
          che  nel  caso  di  riproduzione  all'esterno  della   sede
parlamentare,   e'   necessario,   per    ritenere    che    sussista
l'insindacabilita', che si  riscontri  la  identita'  sostanziale  di
contenuto fra l'opinione  espressa  in  sede  parlamentare  e  quella
manifestata nella sede esterna; 
          che cio' che si richiede, ovviamente, non e'  una  puntuale
coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti; 
          che nei casi in  cui  non  e'  riscontrabile  esercizio  di
funzioni parlamentari, il  valore  della  legalita-giurisdizione  non
collide certo con quello  dell'autonomia  delle  Camere  e  cosi'  si
spiega che la giurisprudenza costituzionale abbia  appunto  stabilito
che  l'immunita'  non  vale  per  tutte  quelle  opinioni   che   «il
parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito della politica»; 
          che alla luce di tale interpretazione si  debbono  pertanto
ritenere,  in  linea   di   principio,   sindacabili   tutte   quelle
dichiarazioni, che fuoriescono dal  campo  applicativo  del  «diritto
parlamentare»  e  che  non  siano  immediatamente   collegabili   con
specifiche forme di esercizio  di  funzioni  parlamentari,  anche  se
siano caratterizzate da un asserito «contesto politico»  o  ritenute,
per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in
cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo; 
          che questa forma di controllo politico rimessa  al  singolo
parlamentare puo' infatti  aver  rilievo,  nei  giudizi  in  oggetto,
soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti  e
procedure specificamente previsti dai  regolamenti  parlamentari;  se
dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento  per  il  contenuto
delle  proprie  dichiarazioni  soltanto  se  concorre   il   contesto
funzionale, il problema specifico,  che  non  appare  irrilevante  in
questo  conflitto,  della  riproduzione  all'esterno   degli   organi
parlamentari di dichiarazioni gia' rese  nell'esercizio  di  funzioni
parlamentari si puo' risolvere nel senso  dell'insindacabilita'  solo
ove sia riscontrabile corrispondenza  sostanziale  di  contenuti  con
l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a  questo  riguardo  una
mera comunanza di tematiche»; 
    nella specie la Giunta, nella sua deliberazione, non  ha  neppure
indicato alcuna circostanza concreta, dalla quale desumere la  esatta
corrispondenza oggettiva e cronologica tra il contenuto dell'articolo
incriminato e quello di specifici atti  parlamentari  -  tipizzati  o
meno - compiuti dallo Iannuzzi, ed anzi il relatore ha esplicitamente
escluso che ve ne fossero. 
    Tale correlazione funzionale - nel senso rigoroso indicato  dalla
Corte  costituzionale  -  non  puo'  certo  derivare   dall'interesse
costantemente manifestato dallo Iannuzzi, nello svolgimento della sua
attivita' politica, per  le  tematiche  della  politica  giudiziaria:
quindi  la  condotta  posta   in   essere   dallo   Iannuzzi   appare
astrattamente idonea ad integrare una fattispecie delittuosa, il  cui
accertamento  deve  essere  riservato   alla   ordinaria   cognizione
giurisdizionale. 
    La decisione del Senato della Repubblica pare arbitraria  siccome
da un  lato  esorbitante  dall'art.  68,  dall'altro  integrante  una
inammissibile   evidente   violazione   dell'art.   3   della   Carta
costituzionale. 
    Appare dunque necessario sollevare conflitto di attribuzione  tra
poteri dello Stato. 
    Tale conflitto e' ammissibile sia  sotto  il  profilo  soggettivo
(questo giudice e' l'organo competente a decidere, nell'ambito  delle
funzioni giurisdizionali attribuite,  sulla  fondatezza  dell'ipotesi
delittuosa ascritta all'indagato e sulla procedibilita'/punibilita' -
decidendo sulla richiesta di archiviazione  presentata  dal  Pubblico
Ministero - e  quindi  «a  dichiarare  la  volonta'  del  potere  cui
appartiene,  in  posizione  di  piena  indipendenza  garantita  dalla
Costituzione»: cfr. ex plurimis, Corte cost. n. 60 del 1999; nn. 469,
407, 261, 254 del 1998),  sia  sotto  quello  oggettivo,  trattandosi
della sussistenza dei presupposti  per  l'applicazione  dell'art.  68
primo comma della Costituzione e della lesione della propria sfera di
attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantita,  giacche'
illegittimamente menomata dalla suindicata deliberazione  del  Senato
della Repubblica. 

(1) Per vero, dalla lettura del certificato del casellario giudiziale
    si ricava che Iannuzzi e' addirittura nella condizione di  essere
    dichiarato delinquente abituale ex art. 103 c.p. in relazione  ai
    delitti contro l'onore, avendo collezionato finora  condanne  per
    ventinove reati  di  tale  indole,  secondo  quanto  risulta  dal
    certificato penale in atti. 

(2) Sentenza n. 120 del 16 aprile 2004, pronunciata in  relazione  al
    tema del vaglio di costituzionalita' dell'articolo 3,  comma  1°,
    legge n. 140 del 2003.